Mi chiamo Enrico Grande e sono uno psicologo. O meglio. Questo è quello che faccio come lavoro. Sono anche una persona, un marito, un papà e tante altre cose. Perché sento la necessità di definirmi anche al di fuori della mia professione? Semplicemente perché credo che senza tutte le specificazioni che ho fatto non potrei fare il lavoro che faccio.
Il mio lavoro infatti, almeno per come lo intendo io, non può separarsi completamente dalla persona che lo svolge. Nel mio essere uno psicologo sono presenti tutte quelle caratteristiche che in alcuni casi esistevano già prima della mia professionalità e che in alcuni casi sono venute dopo o durante.
Per me questo lavoro richiede necessariamente una forte connessione con ciò che si è al di la dell’intervento professionale. Non sarei quello che sono se non fossi anche un papà. Non sarei ciò che sono se non fossi anche un marito. Non sarei ciò che sono se non avessi delle passioni, dei sogni, degli obiettivi, delle fragilità, delle debolezze. Insomma, non sarei ciò che sono se non fossi anche una persona. Ed è proprio questo il mio campo di intervento: le persone. Per questo credo che nella mia professione sia assolutamente necessario prendere contatto e conoscere quella parte di sé “non professionale” ma senza la quale il nostro “essere professionale” sarebbe mozzato.
Con queste premesse non vorrei essere frainteso: la mia parte privata rimane fuori dal mio lavoro. Ma in qualche modo è presente. E lo è nella misura in cui mi permette di riconoscere nell’altro qualcuno che sta attraversando un momento di crisi, di difficoltà. Qualcuno che teme che tutto sia perduto e che non sia possibile un cambiamento. Qualcuno che ha bisogno di un confronto con un professionista che sia in grado di connettersi alle sue sofferenze, alle sue debolezze, alle sue fragilità. Ma che sappia anche cogliere le risorse e i punti di forza a disposizione e possa progettare un processo di cambiamento proprio a partire da queste caratteristiche.
E nel fare questo, il lavoro più importante è quello svolto da chi mi sta di fronte. Sono le persone che mi contattano ad avere in mano il proprio destino e la mappa del proprio processo di cambiamento. Il mio ruolo è quello di accompagnatore. Un navigatore esperto che discute con il pilota sulle scelte da prendere, sulle opportunità da cogliere, sulle risorse da attivare.
Con queste premesse è facile evincere che nel mio lavoro non do consigli, né soluzioni a dilemmi esistenziali. Questo per il semplice motivo che è mia convinzione che è il mio cliente ad avere in sé le risposte e le soluzioni. Ha solo bisogno di qualcuno che le cerchi insieme a lui. Questo per me significa responsabilità e cambiamento. Nessuno è più esperto di noi stessi nelle cose che ci riguardano. E quando crediamo di non essere più cosi capaci di conoscerci, allora entro in gioco io. E non in quanto esperto delle vite degli altri. Giammai! Ma come esperto nell’aiutare le persone a riscoprirsi o a scoprire per la prima volta parti di sé che non si pensava di possedere.
Questo è quello che faccio nel mio lavoro con le persone. Nessun potere nascosto. Nessuna capacità di leggere nel pensiero o di ipnotizzare chi ho di fronte. Solo tanto ascolto e tanta attenzione e cura nell’aiutare chi mi cerca a ritrovare la strada. O a costruirne una nuova.
Dott. Enrico Grande