Ci si Rivolge ad uno Psicologo Solo Perché si Pensa di Avere un Problema?
No, si può decidere di andare da uno psicologo anche per approfondire la conoscenza di se stessi.
Scusate il titolo eccessivamente lungo (in arancione), ma non sapevo come altro descrivere una domanda, un dubbio, una curiosità, che mi è stata rivolta molte volte nel corso della mia carriera, fin dagli anni di formazione universitaria.
Partiamo con ordine: ai tempi dell’Università, chiunque venisse a sapere che ero iscritto alla facoltà di Psicologia, non riusciva a trattenersi dal farmi sapere che:
Era una persona con dei problemi;
A parte l’ultimo punto, che mi provocava una certa allergia poiché mi obbligava a spiegare che non tutta la psicologia inizia e finisce con l’interpretazione dei sogni, gli altri due argomenti mi portavano a fare una serie di riflessioni.
Innanzitutto pensavo che la mia carriera sarebbe stata ricca di soddisfazioni in quanto avrei avuto moltissimi clienti. Ma soprattutto cominciavo ad interrogarmi su chi potessero essere i miei futuri pazienti. Dopotutto le persone che avevo di fronte in quel momento non mostravano comportamenti o modalità di pensiero cosi bizzarre da far pensare di soffrire di un qualche problema di tipo psicologico. I tempi erano piuttosto acerbi. In quegli anni, infatti, per me era altrettanto difficile pensare a cosa volesse dire rivolgersi ad un professionista nel mio campo di studi. Ammetto che io per primo non avevo le idee molto chiare. Quindi, spesso mi ritrovare a biascicare una risposta confusa e poco rassicurante sulle condizioni psichiche di chi mi approcciava in quel modo.
Sono passati molti anni da quelle conversazioni. Fortunatamente, grazie agli studi e alle esperienze lavorative, quelle nebbie si sono diradate, e ad oggi saprei dare una risposta decisamente più soddisfacente di quelle balbettate all’epoca. L’unico rammarico è non poter ritrovare tutti coloro che, per un motivo o per l’altro, ai tempi mi informarono delle loro condizioni.
Tornando alla domanda del titolo: devo necessariamente avere un problema per rivolgermi ad uno psicologo. La risposta è: no, ma aiuta. Al di là delle battute, aiuta veramente. Per lo meno nel senso che rende più “urgente” la ricerca di uno specialista che possa aiutare a risolvere quel problema o a sciogliere determinai nodi. La presenza di un problema non è però “condizione necessaria”. Raramente, almeno per la mia esperienza, può capitare che la persona che siede di fronte a me non mi abbia contattato per nessun motivo specifico, ma “semplicemente” perché vorrebbe conoscersi meglio e crescere come individuo. Il virgolettato della frase precedente è d’obbligo perché un lavoro del genere è tutto fuorché facile.
O forse è meglio dire che nasconde tante variabili che rendono un lavoro del genere estremamente interessante. Innanzitutto chi arriva da uno psicologo con una richiesta del genere spesso ha una buona e profonda motivazione a mettersi in discussione e a cambiare alcuni aspetti che, evidentemente, ritiene degni di modifiche. Allo stesso tempo il campo d’azione è potenzialmente molto vasto e questo rende necessario concentrare le energie su quei temi che possono contenere risorse o fragilità per il paziente stesso. Individuare insieme alla persona che abbiamo di fronte aspetti che abbiano queste caratteristiche aiuta ad avere un’idea del percorso da compiere: da dove partire, che strada percorrere, dove arrivare. Ovviamente il percorso si snoda nel corso del susseguirsi delle sedute, ma è sempre bene avere in mente che ci sono degli obiettivi da raggiungere e delle ipotesi da seguire.
Cosa intende il professionista con crescita personale
Scegliere di rivolgersi ad uno psicologo per un percorso di crescita personale significa altresì avere già le idee molto chiare su chi si è e su chi si vorrebbe diventare. Compito del professionista è quello di cogliere le risorse del paziente, per indirizzarlo nella giusta direzione, tenendo conto anche delle fragilità, che non dovranno essere delle zavorre che lo affossano, ma delle consapevolezze che rendono ancora più forti le risorse a disposizione. Nel corso della mia esperienza formativa e lavorativa, ho imparato a dare molto risalto anche e soprattutto alle fragilità, ai punti deboli, troppo spesso bistrattati e tenuti in secondo piano. Mai come oggi cerco di invitare il paziente a prendere contatto con queste parti, a riconoscerle e ad amarle in quanto parti di sé. Solo cosi possiamo pensare di diventare “persone intere” e non “esseri mutilati” a seguito dell’amputazione di una parte di noi. Quante volte vi sarà sentito dire da qualcuno di vostra conoscenza che non ama questa o quella parte del suo corpo? Ma a nessuno è mai venuto in mente di amputarla e perderla per sempre. Semmai si ricorre alla chirurgia estetica! A parte gli scherzi, accettare le parti della propria personalità che non ci piacciono è il primo grande passo verso un processo di cambiamento che parte innanzitutto dall’accettazione di sé.
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